Stomia, oltre il silenzio e lo stigma

Stomia, oltre il silenzio e lo stigma

Tra i vari servizi offerti dal progetto “Un sacc…o bello! Speranza e vita con la stomia” c’è anche il supporto psicologico. Oltre a modificare in maniera considerevole, nei gesti e nelle abitudini, la quotidianità delle persone portatrici di stomìa, questa condizione clinica incide in maniera altrettanto impattante a livello emotivo e sulla socialità, fatta di riti e ritmi che devono, necessariamente, conciliarsi con la nuova realtà del sacchetto. Non a caso, accanto alle tante richieste di supporto pratico, tempestivo e concreto ricevute al Centro di Ascolto attivato al n. 370.1581394 (disponibile tutti i giorni dal lunedì al sabato, dalle ore 10:00 alle ore 13:00), sono emersi anche bisogni di socializzazione, incontro e scambio di esperienze tra pari, vera e propria assistenza psicologica.

A raccogliere questi bisogni e dialogare con chi sta dall’altro lato del telefono o della chat c’è la dottoressa Annalisa Zappani, che venerdì 17 giugno faciliterà il gruppo d’incontro onlineMettiamo in circolo le nostre esperienze”.

Il bisogno di semplice, autentico, ascolto per sentirsi accolti e capiti nella difficoltà è il minimo comun denominatore delle richieste ricevute. Perché lo stigma, il silenzio e il ritiro sociale sono il rischio maggiore che corre non solo chi vive in prima persona la realtà della stomìa, ma anche chi la vive accanto a chi convive con il sacchetto. E deve imparare a conviverci a sua volta.

“Dei vari tipi di stomìa (ileostomìa, colostomia e urostomia) – sottolinea la psicologa – se ne dovrebbe parlare molto di più, per vincere il tabù sociale e personale che circonda l’argomento e normalizzarlo. Trattandosi di un problema che non si vede, resta di fatto invisibile a chi non è intimo e viene nascosto per pudore a tutti gli altri che, spesso, non solo non lo immaginano nemmeno ma non capiscono il perché di reazioni a situazioni tutto sommato banali ma che condizionano chi è portatore di stomìa, il quale, a sua volta, si sente, e di fatto è, incompreso. L’adattamento al cambiamento, non solo a livello concreto ma anche a livello relazionale, non è una risposta psicologica immediata. Soprattuto all’inizio, quando ancora il paziente non ha trovato il presidio più adatto per la sua condizione, vive spesso in uno stato d’ansia“.

Cosa faccio se mi si apre il sacchetto in pubblico? Come posso cambiarlo se non c’è un bagno nelle vicinanze? Sono solo alcune delle domande ricorrenti che i portatori di stomìa si pongono puntualmente. E le risposte spesso provocano loro difficoltà a stare con gli altri, a stare fuori casa e a mangiare fuori dalle mura domestiche (soprattutto per chi ha ileostomia, dove il cibo ingerito viene espulso quasi automaticamente).

“Alcuni pazienti – spiega la dottoressa Zappani – sviluppano addirittura una vera e propria fobia legata al cibo: per evitare che il sacchetto si riempia o si apra, condizioni che in pubblico potrebbero creare disagio, scelgono di rimandare quanto possibile il momento di nutrirsi. Anche nei caregiver l’ansia è la condizione psicologica dominante ma è l’ansia di fare male, di non essere all’altezza, di impressionarsi a gestire un rapporto molto fisico e intimo con il corpo altrui. E questo genera difficoltà a relazionarsi, a comunicare la difficoltà e a cercare aiuto. Perché si tratta di pensieri e sentimenti difficili da spiegare a un familiare, figurarsi a un estraneo. Per questo molti chiamano e riattaccano prima ancora di riuscire a raccontarsi o raccontare il proprio disagio. C’è una diffusa paura del confronto e del giudizio altrui”.

Annalisa conosce molto bene e da vicino parecchie delle implicazioni annesse e connesse alla stomìa, perché le ha vissute in in prima persona come compagna e caregiver. “Ho capito quanto possa essere difficile vivere direttamente e indirettamente questo problema. In prima battuta ci si sente abbandonati a se stessi perché dopo l’intervento l’ospedale ti aiuta, ti dà linea guida e ti supporta con le prime cure ma tornati a casa il paziente e la famiglia sono soli con il sacchetto e una routine che non hanno mai fatto e non sanno bene come gestire, con tutte le difficoltà tecniche e di elaborazione personale, familiare e sociale connesse. Al Centro d’ascolto abbiamo ricevuto richieste di persone da 48 ore con la sacca aperta e senza la possibilità di essere soccorsi, con brutte irritazioni da fuoriuscita di fluidi e quant’altro”.

Essendo ogni intervento unico nel suo genere, così come ogni singolo individuo, molto spesso capita che il presidio dato dall’ospedale dopo l’intervento non sia quello più adatto. In questi casi, entro 24-48 ore il Centro d’ascolto del progetto “Un sacc…o bello!” attiva il contatto con il proprio enterostomista di fiducia, il dottor Davide Brambilla dell’ambulatorio di riabilitazione dei pazienti stomizzati dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che, tramite telemedicina, individua insieme al paziente la soluzione e il presidio più adatto. Se, invece, il bisogno espresso al Centro di ascolto è di supporto psicologico, si fissa il prima possibile una seduta. Il servizio, in entrambi i casi, è totalmente gratuito.

“La maggior parte delle volte non occorre pianificare un percorso di supporto a medio-lungo termine – conclude Annalisa Zappani – perché la necessità principale dei pazienti o dei caregiver è semplice, eppure preziosissimo, ascolto. Per abbattere ulteriormente ogni ulteriore barriera e per rispondere alle necessità del target, molto spesso over 70 con evidente divario digitale, abbiamo scelto di attivare l’ascolto principalmente telefonico, ma per il primo gruppo d’incontro, data la portata nazionale del Centro d’ascolto, ci vedremo online per parlare e guardarci negli occhi tra pari”.